2014

Tanto incredibilmente buoni quanto poco conosciuti i vini di questa piccola azienda della Val di Cornia, con il suo vigneto a cocuzzolo sopra il golfo di Populonia, davanti al Tirreno. Uno di quei miracoli non rari nella viticultura del nostro paese, in cui si mescolano vicende e storie familiari, che portano a riscoprire e a recuperare territori. Qui il punto di origine è Fidenzio Toni, chiantigiano d’origine, che da bambino si trasferisce a Piombino assieme ai genitori.

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Ricordo il grande dibattito tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo sui nuovi bianchi italiani, se, per ottenere risultati più importanti, bastasse la fermentazione in vasca inox o si dovesse più puntare sull’uso delle piccole botti, se le macerazioni a freddo sulle bucce potessero aggiungere quel quid in più di ricchezza e poi il lungo contatto con i lieviti, i batonage e così via.

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Non c’è dubbio che la fama di Terlano è nata con il Pinot Bianco. E la particolarità di vigne assai alte (fino ai 900 metri) a picco tra il Rio Meltina ed il torrente San Pietro fanno del Vorberg un bianco irripetibile (in questo senso ci dispiace non poter qui giudicare la Rarità 2002 di Pinot Bianco che nell’assaggio aveva seri problemi di tappo).

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Per evidenti ragioni geografiche questo territorio l’ho seguito più di altri negli ultimi 20 anni. E da 11 curo la sezione Produttori di Vino per la Guida Ristoranti di Roma e del Lazio de La Repubblica.

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Spesso negli anni passati, percorrendo la Salerno-Reggio Calabria, mi sono chiesto cosa aspettasse questa regione per esplodere con vini inimitabili e stupirci con bianchi e rossi pieni di profumi, essenze, spessori. Il mare lì a guardarci a pochi chilometri e vigne a terrazze da poter modulare all’infinito, con tutte le differenti composizioni dei terreni, le più diverse mineralità.

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L’internazionalità e la sorpresa. Sì, perché l’azienda è storica per quanto riguarda lo Chardonnay, con l’apparizione negli anni ’90 del Calanchi di Vaiano e del Falesia. Ma i suoi primi tentativi su vini rossi importanti non ci avevano persuaso.

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La volontà e l’intelligenza enologica. Perché parliamo oggi di una corazzata dei vini del Lazio con più di 150 ettari di vigneti nell’Agro Pontino, dove pochi decenni fa non c’era nulla che riguardasse la vite.

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È, a mio avviso, il vino della regione dal potenziale in assoluto più alto. Lo seguiamo sin dal suo esordio con la 2010 e dobbiamo dire che la crescita l’abbiamo verificata con la 2011. Ma ora con la vendemmia 2012, più diretta e nitida ai profumi, l’avvertiamo davvero sostanziosa e prorompente.

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La sperimentalità assoluta. Matteo Ceracchi, il patron aziendale, ha solo 32 anni, ma già decenni di vendemmie alle spalle in una passione sconfinata per il vino, che vive da sempre come un tentativo continuo, una ricerca a tutto campo mai completamente appagata.

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