Atti creativi, originalità ed evoluzione nei nuovi bianchi dell’Alto Adige

Il Contrappunto febbraio 2021

 

                                       Atti creativi, originalità ed evoluzione

                                          nei nuovi bianchi dell’Alto Adige

                                                     di Luciano Di Lello

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Quello che colpisce nei vini emozionanti è l’atto creativo, quella loro ininterrotta sequela di intuizioni che porta a risultati tanto sorprendenti e felici, da fare scuola.

Ho vissuto il cammino dei bianchi dell’Alto Adige dagli anni ’70. Li ricordo nitidi ed affilati, profumatissimi, di alta acidità, appena sottili, prima che una nuova generazione di produttori e tecnici portasse a impressionanti selezioni di vigne, a maggiori maturazioni in pianta, al passaggio a volte in legni piccoli. Quelle etichette da monovitigno apparse negli anni ’90 hanno dato esiti meravigliosi. Bianchi densi, fitti, vasti, cremosi, che dilatavano e approfondivano il mondo precedente, sensualissimi ai profumi, pronti a sfidare il tempo e segnandosi nel mio immaginario come una suprema lezione di maestria e bellezza.

Ma la creatività rimane sempre inquieta, piena di domande su come migliorarsi ancora, magari andando oltre il singolo valore varietale, aprirlo ad una composizione a più strumenti, nella delicata, complicatissima arte di unire i vitigni armoniosamente, fino a far scoccare un nuovo suono, con le stimmate di quel particolare territorio e delle sue cultivar. Appunto i nuovi atti creativi non si sono mai fermati, con approcci, idee sul miglior uvaggio possibile, finché nell’ultimo decennio non sono apparse etichette di altra generazione e forma. Con un filo conduttore al loro interno, ma sempre in fieri, a seconda di quanto ogni diversa vendemmia propone.

La Grande Cuvée di Terlano, è figlia di un territorio dai particolari cloni di Pinot Bianco sui 600 metri di altitudine (sempre tra il 70 e il 90%) + Chardonnay e Sauvignon. Ho assaggiato in questi mesi le ultime tre annate in commercio, la ’15, ’16, ’17. E parliamo di un bianco superbo, elegantissimo (assai crudo nella ’17, cui sono doverosi altri anni di bottiglia), ma di originalità e bellezza senza pari. Vino appunto imperativo e nordico, che maschera la sua densità anche alcolica in un’intelaiatura nervosa e minerale che lo contiene e ne fa uno dei nostri bianchi dal maggior potenziale evolutivo. La meravigliosa 2016, come tutte le grandissime annate, è più espressiva e leggibile in una leggiadria soffusa di lisi di lieviti, roccia e fiori che via via si apre ad un baluginio di toni tropicali. Vino poi setoso e interminabile alla bocca, piena sintesi di soavità e forza.

Altro uvaggio imperativo, ma assai diverso lo propone Colterenzio con il suo LR, frutto di Chardonnay, Pinot Bianco, Sauvignon. Bianco più grasso, femmineo, aperto al delizioso, dalla grazia mozartiana. Assaggiato nella 2015 e 2016, anche qui è la seconda ad esprimere le impressioni più vaste con una miriade di profumi esotici dall’aromaticità dolce e fascinosa, piena di polpa succosa e, vorrei dire, di colori, di preziosità sfaccettate in una quintessenza di bellezza e godibilità. La 2015 ne ricalca le forme, ma con una punta di alcolicità che ne limita il brio. Comunque, in entrambe le degustazioni comparate con gli altri vini, si parva licet, è stata la prima bottiglia a terminare.

Altro stile con l’Appius ’15 e ’16 di San Michele Appiano (da Chardonnay, Pinot Grigio, Pinot Bianco e Sauvignon), che punta più sulla forza, sulla spalla, sulla complessità. Vino con il maggior carico di legno piccolo, che ne sigilla al momento l’espressività del frutto, ma che, testato via via in più giorni, ha iniziato a far emergere una luminosità tropicale suggestiva di echi e creme. E aggiungo inoltre di aver assaggiato di recente gli Chardonnay St. Valentin 1998, 1999 e 2000, che a suo tempo avevo giudicato troppo legnosi, ed erano invece vini spettacolari adesso, freschissimi, in cui quel legno, perfettamente digerito, si era fuso in un’aromaticità complessa di rara perfezione e bellezza. Aprendo così il tema dell’evoluzione, del saper molto attendere nell’affinamento, come del resto per i più grandi bianchi di Borgogna.

 

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