Il Sangiovese post-moderno di Riecine

Il Sangiovese post-moderno di Riecine

di Luciano Di Lello

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Italo Calvino scriveva che il grande romanzo sulla Resistenza era venuto fuori, quando nessuno più se l’aspettava, vent’anni dopo i fatti accaduti e con una storia del tutto controcorrente, assolutamente lontana dalla routine di retorica che l’aveva preceduta, per opera inoltre del più solitario degli scrittori del tempo. Una questione privata di Beppe Fenoglio appariva come un romanzo di pura follia amorosa, di inseguimenti infiniti e incatenati, che però riusciva finalmente a raccontare quella epopea in tutta la sua verità e magia.

Mi era tornato alla mente questo, assaggiando per la prima volta il Riecine di Riecine 2012, quasi 3 anni fa. Era stata una scoperta ed un colpo d’urto folgorante. Avevo pensato che tutto il lungo e travagliato lavoro di quel laboratorio del vino che era stato per decenni il Chianti Classico avesse all’improvviso trovato il suo capolavoro e la sua essenza felice, sincera, originale. Finalmente il Sangiovese di Gaiole poteva rivelare incontaminato splendore aromatico, freschezza pura e potenzialità sconfinata, dinamica, nella bellezza perentoria del proprio frutto, non modificato da altri vitigni e nemmeno vessato ed imbrigliato dal peso dei legni. Saliva solo questo respiro del vino e lo smalto del territorio, le sue vigne alte, quasi il colore, il paesaggio, perché questo ha il potere di evocare il grande vino. Assieme alla considerazione che nel frattempo la natura avesse seguito imperterrita il suo corso. E dunque la mutazione climatica di questi ultimi decenni, tra le tante negatività, aveva offerto anche il vantaggio di un maggiore, fondamentale calore a vigne poste in un’altura limite, con vini così dal corpo oggi assai più radioso ed avvincente.

Nei giorni scorsi infine, con molte aspettative, ho avuto modo di assaggiare tutti i nuovi vini di Riecine della grande vendemmia 2015. Ed è stata una sequenza regale, che si è accompagnata ad un gran sorriso che mi si stampava sul viso per ogni calice. C’è in ognuno di questi rossi, pure nel loro diverso peso e livello, una tale giovanile bellezza e identità profonda che è appunto data dal vitigno, da quel Sangiovese di Gaiole che avevo ogni tanto intravisto in lontani assaggi e che poi spariva, mescolato ad altri vitigni e profumi, oppure imbellettato e coperto dai più variegati legni aromatici.

Il Chianti Classico ha così la brillantezza e la grazia agile e soave, freschissima di viole e fragoline, che invita immediatamente ad una beva fragrante ed appagata. Con il Chianti Classico Riserva si sale di peso e di complessità. I profumi si dipanano in una raffinatissima eleganza, il frutto è soffuso di vaniglie e delle prime striature catramate in una veste aggraziata e femminea.

Ma il picco delle emozioni è stato ovviamente offerto dal La Gioia e dal Riecine di Riecine, frutto il primo di esasperate selezioni da piccole vigne ed il secondo del più vecchio ed alto vigneto aziendale.

In questi due vini si esprimono però anche due diverse filosofie di pensiero. Nel La Gioia, al meglio della qualità delle uve e della precisione stilistica, quella dei Supertuscan da Sangiovese degli anni ’90, con un gran rosso levigato nei legni delle barrique, palpitante e nervoso, dai profumi racchiusi e concentrativi, tra frutto, vaniglie, catrame, spezie. Nel Riecine invece l’intuizione di alleggerire dal legno la sua splendida selezione di uve per farla invece evolvere per anni in particolari vasche di cemento e tonneaux usati. Il risultato è in un meraviglioso Sangiovese post-moderno, senza orpelli, di pura polpa, stupendo frutto e rubine mineralità, che mi ha incantato. Probabilmente superiore al 2012, ancora giovanissimo e dunque con un cammino immenso per complessizzarsi. Ma sin d’ora con un carattere espansivo ai profumi, che stilisticamente si può rapportare ai grandi rossi di Borgogna e che segna un tragitto estetico completamente nuovo per tutti i migliori Sangiovese d’altura.

 

 

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