Lo stile che è sostanza nei migliori assaggi dell’anno

Il Contrappunto 

Lo stile che è sostanza nei migliori assaggi dell’anno

di Luciano Di Lello

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Esistono molti vini meritevoli nel panorama italiano, assai spesso però improvvisati e casuali. Mentre mi sono via via reso conto in questi anni come per il risultato assoluto serva invece consapevolezza piena, conoscenza sostanziosa e una perizia immensa. Come un grande romanziere, l’autore deve saper dominare la materia, viverne la gestazione, cogliendo le differenti dinamiche che ogni annata porta con sé, plasmandone i colori sotterranei, offrendo così uno spazio di emersione a tutte le infinite particolarità della vendemmia.

Di certo occorrono anni per prendere le misure a vigne e uve. Avere poi cultura, un gusto estremo e geniale alla bontà, alla bellezza ed anche, che non guasta mai, parecchia fortuna. Solo allora l’assaggio si può trasformare in stupore rarissimo e dare il senso di un’opera compiuta, come mi è capitato poco tempo fa davanti a tre calici di una stessa Tenuta, che sono diventati i miei vini dell’anno.

In qualche misura mi sono sentito come di fronte ad un quadro di Bosch la scorsa estate, quando più lo osservavo e più si svelavano i dettagli più minuti, il luccichio delle scene. Era ora la sequenza di tre rossi davanti a me dai colori impenetrabili, nerastri, che andavano via via crescendo in aromi con una solennità, una vastità tersa, smisurata, originalissima. E con un filo conduttore a tenerli accanto, un impatto di stile, un modo di intendere il vino rosso alle sue possibilità estreme.

Il Pino ’15, che doveva essere una sorta di livello base, esprimeva un carattere perentorio già nella vastità dei profumi, un attacco immediato di roccia bagnata su cui si andavano aprendo le ampiezze dei frutti neri in una ridondanza sicura, controllata ed un respiro già accennato di liquirizie e goudron. Vino di sostanza densa, tenebrosa e virile, come è nel carattere di queste vigne della Tenuta di Biserno, ma talmente armonioso da offrire l’impressione luminosa che dentro di lui nulla si fosse sprecato. Ogni ingrediente emergeva nel suo ordine, con una sequenza armonica, una compostezza di godibilità fortissima ed assieme di concretezza, di leggibilità.

Il Biserno ’15 poi dei tre era quello che appariva più brado, quasi violento nell’espressività degli aromi, in un certo senso anche il più entusiasmante al primo approccio per la straripante ricchezza di polpa. Percorreva lo stesso sentiero del Pino, lo stesso carattere aristocratico e austero, ma era assai più grasso e ricco, con un frutto pieno di echi inediti e sopra sciabolate di catrami e goudron a dare suggestioni, suggerimenti. In bocca confermava poi una freschezza di gioventù splendente in un vino grandioso. Ma come se l’autore ne avesse lasciato i tasselli aperti, bisognosi solo di anni di bottiglia, perché gli incastri si possano poi agganciare e così le suggestioni, le combinazioni per nuovi aromi.

Devo dire di aver pensato a questo punto se e cosa si potesse fare di meglio. Andando sul Lodovico ’15 in un senso fortissimo di curiosità ed aspettativa. Ma rimanendo lo stesso di stucco. Quel vino mi sorprendeva. Era innanzi tutto assai delineato e preciso nei suoi disegni, nelle sue trame, meravigliosamente luminoso e a fuoco, così come il Biserno presentava una sorta di sfocatura, che il tempo di vetro avrebbe portato all’incisione. Ma, oltre questo, quello che il Lodovico esprimeva in profumi e sapori era di una novità, di un’originalità e ricchezza emozionante. Florealità e vaniglie fuse in frutti maturi di bosco, ribes e spezie che si aprivano a spazi balsamici su un fondo pacato e dolce di inchiostri. E, come più il vino girava nel calice, si apriva e vibrava in nuove sfumature, dettagli, componendo una sua storia inedita dell’uvaggio bordolese. Era stranamente potente, complesso e pacato, levigatissimo al tatto, maestoso nella sua cremosità deliziosa. Quando lo stile è sostanza, opera di pensiero e contenuto vero. Ed è bellezza, concretezza viva.

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