Assaggi a Montefalco impressi nella memoria

Assaggi a Montefalco impressi nella memoria

di Luciano Di Lello

 

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Mi ha molto colpito leggere di Paul Durand Ruel e di Vollard, poi Kahnweiler, fino ai fratelli Rosenberg, tutti quei mercanti e collezionisti d’arte moderna che dagli Impressionisti alle Avanguardie del ’900 hanno scoperto e selezionato i più importanti pittori a loro contemporanei. Mi intrigava la capacità di questi uomini, il loro fiuto e occhio assoluto che permetteva di distinguere l’artista vero da chi invece sapeva soltanto copiare, quel riconoscere in pieno fieri il senso della ricerca profonda, che apre orizzonti dell’arte ed è totalmente diversa dalla fumosa accademia. E mi colpiva ancora quel saper intuire la grandezza di artisti assai diversi tra loro come idee, percorsi, stili e vedere le pareti delle loro case piene di quadri come mondi opposti (fauve, cubisti o surrealisti) che riuscivano però egualmente ad incantare.

Ma è questa la sorprendente poliedricità dell’arte, che trova un suo spazio, se vogliamo, anche nell’espressività di un vino e nel processo di evoluzione che l’ha generato. Credo che tentare gli aromi ed i sapori più buoni che esistano in natura abbia una dignità simile a quella di chi riesce a stupire con i colori. E probabilmente lo stesso spirito da collezionista possa guidare chi si è avventurato per anni per territori e vigne cercando quei vini che potevano sorprendere, che si staccavano dalla norma, dalla ripetitività, provando a distinguere il produttore che andava creando qualcosa di importante da chi proponeva vini scontati, frutto della moda o di un malinteso concetto di tradizione, tra chi era aiutato da vigne elette e chi, con siti soltanto medi, più di tanto non poteva raggiungere.

Credo di essere affetto da questa sindrome. E di aver viaggiato per decenni proprio perché lo spirito del collezionista è guidato da un’insaziabile curiosità. D’altra parte nessun dipinto e nessuna opera dell’uomo è mai esaustiva. Così si cerca in nuovi siti, su nuovi vitigni.

Il primo impatto con Montefalco ed il Sagrantino l’ho avuto all’inizio degli anni ’90, rimanendo profondamente colpito dalla personalità del vitigno. La sua monumentale ricchezza estrattiva, la vigoria tannica, ma soprattutto la sua fortissima originalità aromatica lasciava intravedere un potenziale da saper interpretare in armonia, plasmando, smussando. Ci volevano dunque autori pieni di estro e fuori dagli schemi, dalle routine, sempre provando a distinguere chi stava creando da chi invece copiava.

Ho scoperto il Colle Grimaldesco ’99 in una degustazione collettiva, da lì il 2000 e il 2001 con un’impressione fortissima. Gli assaggi poi nella cantina di Giampaolo Tabarrini mi restano impressi nella memoria. E davvero, a ripensarci, in quella sequenza di piccole botti che si sommavano e in cui si evolvevano le diverse vigne a Sagrantino, ognuna con una personalità perentoria e chiara, decisa, non mi sembra ci fossero grandi differenze con lo studio di un pittore. Erano grandi rossi potenti e nello stesso momento pieni di luce. Tanto diretti, sfaccettati e completi da essere via via imbottigliati poi separatamente. Così con il 2003 fa il suo esordio il Colle alle Macchie, poi con il 2006 il Campo alla Cerqua.

L’assaggio odierno della 2015 e 2016, due magnifiche annate con una leggerissima preferenza per la più alta armoniosità della seconda, mi conferma il valore autentico di questi Sagrantino. Il Colle Grimaldesco è il più immediatamente attrattivo, dolce e carico di frutta rossa, masticabilissimo e sorridente, fragrante, che nasce su terreni di argille e limo. Il monumentale Colle alle Macchie ne esprime una sublime versione concentrata, dagli aromi inchiostrati e goudroneggianti, con sapori maestosi su un corpo sontuosamente fitto. Il Campo alla Cerqua, su terreni più poveri e ciottolosi, è un rosso di straordinaria leggiadria e soavità, più femmineo ed anche più sfumato, di rara setosità e raffinatezza.

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