Lis Neris

Gris 2011  90-91

Jurosa 2011  92

Picol 2009   91

Ricordo il grande dibattito tra la fine degli anni ’80 e l’inizio del decennio successivo sui nuovi bianchi italiani, se, per ottenere risultati più importanti, bastasse la fermentazione in vasca inox o si dovesse più puntare sull’uso delle piccole botti, se le  macerazioni a freddo sulle bucce potessero aggiungere quel quid in più di ricchezza e poi il lungo contatto con i lieviti, i batonage e così via.

Il Friuli naturalmente era in prima linea in questo confronto di metodi, opinioni. Era un’Italia che aveva varcato il Rubicone quella e andava via via assaggiando i grandi vini mondiali, volendo giustamente misurarsi con questi, bruciare così le tappe, non lasciare nulla di intentato.

C’era uno straordinario fermento del quale ero testimone, un grande lavoro in vigna ed uno studio e tentativi altrettanto continui in cantina, dove si andavano delineando stili, metodi, filosofie. Nei miei viaggi in quegli anni continuavo a scoprire produttori ed etichette in ogni nuova vendemmia. Ed è un periodo che ricordo con una certa nostalgia.

Scelgo oggi Lis Neris ad inaugurare questo mio sito perché mi sembrano l’emblema di questo passaggio e cammino. I suoi bianchi mi hanno totalmente persuaso in passato è li trovo oggi, avendoli assaggiati su più di un’annata, di una bellezza, di una qualità e una gustosità, una riconoscibilità territoriale straordinaria. Magnifici nella fattura, con una mano di vinificazione leggera e perfetta, esprimono oggi tutta la bellezza, la succosità e le mineralità uniche delle ghiaie isontine.

Ricordo le conversazioni di circa 25 anni fa con un Alvaro Pecorari allora giovanissimo (per la verità un po’ lo ero anche io), che iniziava a proporre allora le sue selezioni che maturavano nel legno.

Io ero un po’ perplesso per il Pinot Grigio, che era il più delicato tra i vitigni friulani. Temevo che il legno lo schiacciasse, ne coprisse le levità fruttate del suo intarsio aromatico. Perché in fondo questo era il tema del dibattere. Se i vini bianchi dovessero esprimere la purezza netta del loro varietale e se la fermentazione nei legni ne modificasse invece il quadro, ne massificasse i profumi in un indistinto coacervo di vaniglie nocciolate. I bianchi californiani sembravano in un certo momento fare moda e scuola. Forse c’era anche un importante mercato americano da conquistare. Va tutto inserito, come sempre, in un preciso momento della nostra storia e della nostra cultura. E determinati tentativi, per arrivare a vini bianchi superiori, andavano comunque sicuramente fatti.

Oggi trovo le tre etichette che cito nel punteggio di qualità e bellezza superbe. L’azienda poi con i suoi 60 ettari di vigneti a San Lorenzo, su un terreno di ghiaie profonde che scendono verso l’Isonzo (e, proprio perché millenario deposito alluvionale, è una immensa miniera di diversissimi materiali e dunque profumi e sapori che la vite prende) appare come un gioiello, così come la cantina interrata rispettosissima del territorio.

Il Gris ’11 dunque (i vini delle selezioni sono sempre posti in commercio a 2-3 anni dalla vendemmia)  ha fermentato e maturato per 10-11 mesi in botticelle di rovere da 500 litri con frequenti batonage. Si presenta oggi con un colore freschissimo dai riflessi verdolini ed un naso di incantevole bellezza e suadenza, carico di ampiezza di aromi dalla straordinaria dolcezza e cremosità espressiva, in cui appaiono perfettamente fusi i toni tropicali con le fresche acidità minerali. Bianco perfetto e trascinante, per nulla appesantito dal legno che quasi non si avverte, da acquolina in bocca, da godersi pienamente fino alla fine, senza remore.

Il Jurosa 2011 poi, come il Gris, nasce da una vigna di 25 anni, medesimo è il percorso di cantina, con 8 mesi di botticelle di rovere e numerosi batonage. Parliamo però in questo caso di uno Chardonnay. C’è dunque una marcia in più offerta dai superiori cromosomi del vitigno e ci troviamo in questo caso davanti ad uno dei più affascinanti bianchi italiani. Vino tra l’altro molto giovane, in grado sicuramente di progredire con altro tempo di bottiglia. Ma si ha subito comunque la sensazione di assaggiare un bianco di livello assoluto, lungo e profondo, che esprime profumi di una bellezza così intensa, tanto cremosa e piena da superare i limiti della gioventù. La bocca è dunque voluttuosa ed energica, lunga e penetrativa di sapori finissimi e dolci, tutti intrisi di sapide mineralità, balsami leggeri, aerei e un lungo finale speziato, denso e prezioso. Un incanto.

Il Picol è poi la migliore selezione di Sauvignon (vitigno tanto grande, quanto delicato e difficile nell’ottenimento della sua migliore espressività aromatica). E qui il percorso di cantina è appunto diverso perché il vino inizia la sua fermentazione in vasca inox e continua poi il suo cammino per 11 mesi sulle fecce fini sia in vasca d’acciaio che nelle botticelle. In questo caso preferiamo recensire il Picol 2009, leggermente più pronto ed aperto, mentre il 2011 (frutto di un’ottima annata) consigliamo di collezionarlo e berlo tra 2-3 anni, quando sarà in grado di esprimere tutta la sua bellezza ampia e variegata di ventaglio aromatico. La grandezza del vitigno e l’altissima vocazione dei terreni ghiaiosi dell’Isontino al Sauvignon, così come l’evoluzione che avviene in una certa parte in tank d’acciaio, danno insomma  un gran vino 2011 ancora indietro nella sua evoluzione, pirazinico, crudo, appena freddo. Il Picol 2009 invece appare già più espresso, godibile, anche se ha ancora tutta una sua buona e lunga strada da compiere. Il colore offre abbondanti riflessi verdolini, ad indizio di una gioventù straripante. Ma il naso già si presenta straordinariamente bello, aromatico e cremoso, pur mantenendo un filo teso di nervosità olfattiva, con note di burro grigliato, frutti tropicali (mango in particolare) su uno sfondo ancora verde di salvia e foglia di pomodoro. La bocca poi è di una gustosità straordinariamente ricca e puntuta, che si apre di continuo in un masticabilissimo mix di sontuosità di frutto e sapidità nervosa e minerale.

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