Spiriti Ebbri

Appianum 2011  91

Appianum 2012  90-91

Neostòs Rosso 2013  90

Neostos Rosso 2011  91-92

Neostòs Bianco 2013  88

Neostòs Bianco 2011  89-90

Spesso negli anni passati, percorrendo la Salerno-Reggio Calabria, mi sono chiesto cosa aspettasse questa regione per esplodere con vini inimitabili e stupirci con bianchi e rossi pieni di profumi, essenze, spessori. Il mare lì a guardarci a pochi chilometri e vigne a terrazze da poter modulare all’infinito, con tutte le differenti composizioni dei terreni, le più diverse mineralità. Poi luce e sole, brezze, escursioni termiche da far invidia ad ogni altra terra. Poter arrivare anche a vini di altitudine, di montagna, per quella che è la morfologia dei terreni e le loro particolarità microclimatiche. Un patrimonio infine di vitigni che a inventariarlo può nascondere chissà quali sorprese. Cosa mancava insomma?

Dovremmo allora addentrarci qui su una lunga serie di analisi storiche e socioeconomiche per solo iniziare a raccapezzarci di un minimo. Ma la novità odierna degli Spiriti Ebbri è quella che riempie davvero il cuore e lo spazio. Perché è la passione di tre amici per il grande vino, per la memoria dei vini dei padri, per quella che può essere la possibilità della propria terra a smuovere un microcosmo che potrebbe, chissà, dietro il loro esempio attivare sempre più numerosi mosaici lungo tutta l’intera regione. Perché fare grandi vini, nuovi e originali, nel nostro paese è sempre e fortemente possibile. E questo può diventare un volano inesauribile per la nostra economia, così come può essere una scoperta ed una risorsa per tanta nostra gioventù. Perché giungere ad ottenere un risultato importante dalla terra non è soltanto bello ed esaltante, ma dà il profondo senso di esistere.

Dicevamo dunque di tre amici che negli studi e nella vita si sono occupati e si occupano anche d’altro, chi ingegnere, chi architetto, chi educatore (ma, parafrasando un detto calcistico, possiamo con piena coscienza affermare che chi sa solo di vino, non sa niente di vino). E attraverso il loro differente ed articolato retroterra culturale, con il riferimento alto ai grandi vini cercati ed assaggiati con forte attenzione lungo tutti questi decenni, insieme a cuore e passione, portano a far nascere questa piccola azienda, che arriva oggi a produrre 8.000 bottiglie l’anno.

Certo non sono tantissime, ma c’è una chiarezza in questi vini, una logica in tutto il loro percorso, un progetto superiore che dà un sereno, scandito senso del futuro, con quello che si è man mano acquisito e la coscienza del tanto che si deve ancora percorrere.

In vigna si segue il più possibile, con discernimento e buon senso, la via della naturalità. Concimazione del terreno tramite sovescio, dai 2 ai 4 trattamenti di rame+zolfo l’anno. In vinificazione uso soltanto di lieviti indigeni.

Partiamo così dall’Appianum La Vigna di Alberto, che nasce da un mezzo ettaro scarso di vecchio vigneto di almeno 25 anni, che è una specie di semenzario di antichi vitigni calabri, Maglioppo, Greco Nero, Magliocco Canino, Magliocco Dolce, oltre un 25% di piante non identificate in modo certo. Siamo nel comune di Lappano in provincia di Cosenza, a 400 metri di altitudine. Vigna condotta con dettami naturali e biologici, 5.000 ceppi per ettaro, bassissime le rese. Dopo la vendemmia, circa 7 i giorni di macerazione sulle bucce e poi 9 i mesi in barrique usate, a completamento della fermentazione ed a elevamento del vino. Che non viene poi filtrato.

Appianum 2011 dunque e scordiamoci i parametri normali, perché questo vino supera i 15 gradi di alcol, ma contemporaneamente ha un’acidità fissa di 9,1. Eppure tutto suona totalmente armonico. Il colore è profondo, il naso con i suoi frutti preziosi ed un caramello bruciato a svettare con un pelo di sovrammaturo rivela il carattere di gran vino del Sud con una sua ieratica antichità e tutto uno sfondo a baluginare di spezie fine e officinali come alloro, bacche, incenso che vanno sempre più crescendo nel bicchiere.

E’ strana poi anche la prima impressione in bocca, perché parliamo certamente di un grande assaggio, ma a mezz’ora dall’apertura della bottiglia i tannini risultavano ancora aggressivi, quasi a disidratare il frutto del vino. Impressione questa però quanto mai fallace. E consigliamo così chi avrà la fortuna di bere una di queste rare bottiglie ed immagina di consumarla tutta in un pranzo o una cena, di decantarla in una caraffa. Lasciare allora ossigenare tranquillamente e a lungo il vino, che crescerà così progressivamente ne i bicchieri, armonizzandosi, dilatandosi, aprendo le sue dita.

Il miglior assaggio, le impressioni più compiute io le ho ricavate 24 ore dopo l’apertura, quando i profumi erano ancora più ricchi e complessi, il frutto più sontuoso e grasso, che dominava di creme ormai sui tannini in una sensazione compiuta, ricchissima e felice.

L’Appianum 2012 è molto simile nel profilo al precedente e inizialmente, non appena aperto, forse lo preferivo al 2011. Mi appariva più nitido ed in qualche misura più aperto e moderno (e dunque appena più facile e leggibile per me), con i suoi primi accenni ai frutti neri, a bacche, salvia, alloro. Ed un notevole impatto poi in bocca ed un pieno equilibrio di setosità, ricchezza, morbida cremosità. Davvero un gran vino e comunque ricco di originalità. A distanza di 24 ore, nel riassaggiarlo, è rimasto però più fermo, sicuramente integro e compiuto, ma non ha avuto l’impennata e quel forte guizzo in più della 2011. Ritengo però che sia tutto e solo un problema di affinamento nel vetro e quanto sia importante che questo sia adeguato e giusto nei tempi per il vino. I 12 mesi in più oggi aiutano di certo l’Appianum 2011, compattano maggiormente, legano e serrano tutti i suoi componenti, che, una volta aperta la bottiglia, possono così schiudere i loro profumi e sapori in un lento, progressivo sostenuto continuum. Parliamo appunto di vini giovanissimi, che hanno ancora un lungo cammino da compiere.

Ma accanto all’Appianum i nostri Spiriti Ebbri propongono anche un altro grande rosso che è il Neostòs, ottenuto da piccole vigne, non di proprietà, ma che i tre soci seguono durante tutto l’anno.

Qui l’uvaggio cambia completamente perché abbiamo un 58% di Merlot, 21% di Greco Nero, 21% di Guarnaccia. Ancora, nella vinificazione, circa 7 giorni di macerazione sulle bucce, poi 9 mesi in barrique usate. Ed il Neostòs 2013, seppur assaggiato a poca distanza dall’imbottigliamento, ha offerto un grande exploit, facendo anche emergere un limite di questa piccola cantina, che, appunto per le sue dimensioni assai ridotte oggi non permette di avere la contemporanea presenza di più annate nello stesso spazio (è però in arrivo una nuova cantina, ottenuta da una sala cinematografica degli anni ’50 oggi in abbandono; e ogni riferimento tornatoriano così lo mettiamo tutto da parte). Il Neostos Rosso ’13 è appunto un gran vino che meritava sicuramente più tempo di legno e più nuovo. Eppure il risultato ci appare comunque eroico, profondissimo nel colore, con un naso crudo e tracce ancora vinose, ma con una bocca appassionata, di frutto vivo, dichiarato, generoso, maturo e fresco nello stesso tempo, masticabilissimo alla bocca e vero, profondo, ma assieme rotondo a dominare in creme le sensazioni minerali del suo sfondo. E ad emanare il senso della sua genuina eleganza, quell’autenticità di fondo, la sontuosità di frutto a bilanciare mineralità e pura forza di tannini. Vino che ora ha solo bisogno di tanta bottiglia per crescere e raggiungere anche un punteggio più alto.

Il Neostòs 2011 poi, similare nell’uvaggio (ma con due anni in più di vetro), è la conferma che troviamo di fronte ad una grande etichetta. Certamente questo vino può ancora guadagnare qualcosa in più dichiarata complessità dall’introduzione di qualche legno nuovo, da una più opportuna gestione dei tempi. Ma la materia prima è di qualità smagliante, perfettamente tesa, freschissima nel frutto, con un nitore ed una pulizia di vinificazione, che lascia pensare, visto che non si ricorre ad alcun enologo. Ed il vino esplode in tutta la sua energia, con un’originalità di aromi (more di rovo, una leggera traccia ematica, sottobosco, liquirizia, fumo) che incanta. I suoi sapori appaiono grassi, ricchi, ampi, in un’attrattiva setosa e succosa che avvolge con naturalezza la bocca.

Infine altro vino interessantissimo è il Neostòs Bianco ’13, da uve della varietà Pecorello (niente a che vedere con il Pecorino). Anche qui la tecnica di vinificazione, ancora in piena messa a punto, anno dopo anno, basta a raccontare della ricerca e della minuzia dei particolari e di tutti i dettagli che arrivano a comporre questo intrigantissimo Bianco. Il 70% delle uve vengono immediatamente separate dalle bucce e fermentano in vasca inox ed in barrique usate. Il 30% macera invece per 1 giorno sulle bucce e poi per 6 mesi in barrique. Il risultato dell’insieme, a pochi mesi dall’imbottigliamento dona un bianco di magnifica originalità, freschezza e spessore. Il naso è particolarmente vasto ed elegante di piccoli fiori che si vanno ampliando verso i toni dolci di acacia. E tutto poi in un’impressione che cresce man mano in dolcezza, in un lungo tessuto grasso e succoso, con un insieme aromatico di tale ricca piacevolezza che è un puro invito al bere. E la bocca appunto è di estrema godibilità, ma al tempo stesso contiene polpa, volume ed un filo teso di acidità a sprintare sapori e lunghi finali sapidi e minerali.

Il Neostòs Bianco 2011, quindi con 2 anni in più di bottiglia, anche in questo caso ci è piaciuto ancora di più, ad ulteriore riprova di come i vini dei nostri Spiriti Ebbri, bianchi e rossi, siano di una tale sostanza, di una tale superiore qualità e materia prima, da maturare e crescere splendidamente nel tempo. Ci troviamo insomma davanti a qualcosa di molto importante, che ridisegna totalmente e per sempre il panorama dei vini calabresi, aprendo nuove vie ed ipotesi.

Tornando al Bianco, la fermentazione è partita, l’abbiamo già detto, con il solo uso di lieviti indigeni. E nel 2011 il 90% del vino ha macerato 2-4 ore sulle bucce, fermentando poi per 6 mesi in acciaio sur lie. Il 10% del mosto ha invece fermentato in barrique usate. Ma è appunto in questa sana frenesia a tentare e correggere, limare, considerare, mettere a punto in ogni vendemmia, sempre per estrarre dalle uve la loro parte più buona e nobile e fare sì che il contenuto degli acini si esprima al meglio, che si fonda la fiducia a credere che di queste etichette sentiremo molto parlare, che qui non c’è nulla di effimero.

Il 2011 così rivela il suo naso bellissimo di miele tostato, piccoli fiori, cera d’api, nespole mature, in un intarsio magnifico ed elegantissimo, un armonico bilanciarsi preciso, nitido e lussurioso, teso e debordante di creme.

Come avrete notato non diamo gli indirizzi delle aziende. Ci sembrano superflui per appassionati di vino, che consultano Guide, che navigano costantemente nel web. In questo caso facciamo eccezione, perché parliamo di un’azienda assai poco conosciuta. www.spiritiebbri.it

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