lucianodilello

Alessandro Boncompagni Ludovisi ha raccolto l’eredità del prozio Alberico che, in questo che è uno degli ultimi lembi intatti della campagna romana più bella e carica di reperti, aveva inaugurato un rosso a base di Cabernet Sauvignon e Merlot, che negli anni ’30 aveva impiantato per lui nientepopodimenoche Tancredi Biondi-Santi.

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Un monumento ad Affile. Che è la zona più alta, continentale e fredda del Cesanese, territorio dunque estremo. Ma, se l’annata è favorevole, l’evoluzione progressiva delle uve, la loro maturazione nelle ultime settimane può portare a risultati di rara intensità, complessità e longevità.

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L’opulenza e la saporosità traboccante. Le vigne de La Caetanella hanno offerto, sin dalla loro prima vendemmia del 2003, un Cesanese di sontuosità strabordante, con vini di tale ricchezza e radiosità da far riscoprire a molti le possibilità espressive del vitigno a superiori livelli di concentrazione e di bontà.

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E’ la novità aziendale più importante del Lazio. Nel senso di un investimento di grossissimo spessore (65 ettari di vigneto) tra le colline di Velletri da parte della famiglia di Anton Boerner, innamorata da sempre dell’antichità romana e di questa campagna.

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Ho incontrato per la prima volta Piero Palmucci nell’estate del ’92, casualmente.
Ero andato in visita al Poggione e camminavo in quel momento con Pierluigi Talenti nella piazzetta di Sant’Angelo in Colle. Lui mi indicò da lontano un signore alto, asciutto, che saliva con passo energico e che mi sembrò in quell’attimo uno straniero, non so, un americano, un nordeuropeo.

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Possono esserci luoghi e territori dove gli esiti vendemmiali restano sempre abbastanza costanti negli anni. Ma a Trinoro, l’altitudine, il microclima fresco, la necessità di attendere una fase assai avanzata della stagione, portano ogni volta a risultati non raffrontabili con il resto della Toscana.

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Non posso dire di conoscere personalmente Lodovico Antinori. Ricordo solo una nostra conversazione telefonica abbastanza lunga, quando ancora possedeva l’Ornellaia. In compenso ho assaggiato moltissime volte i suoi vini, ricavandone impressioni di curiosità e suggestione forte, sempre.

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Ho iniziato a seguire il Redigaffi in modo continuativo dalla vendemmia 2005. Mi intrigava il tema del Merlot, che in poche, rare etichette riesce a sublimarsi al punto da entrare in una nuova sfera, con tutt’altra profondità, e a perdere così i suoi limiti, quei toni piacioni, ma anche semplici, quel sorrisone stampato e aperto che può sconfinare in un’immediatezza banale.

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Nei vini amo quello che c’è di estremo, di intentato, lo scatto, l’onda d’urto che, già all’assaggio, al primo colpo di aromi, crea immediatamente nuovi spazi e apre le porte all’immaginazione. Quei vini che in qualche misura riescono ad andare oltre noi stessi e ci sorprendono, ci stupiscono.

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